Storia del tatuaggio

Il tatuaggio di Lombroso

In Europa ed in Italia, la percezione del tatuaggio come elemento infimo e dispregiativo è dovuta a Cesare Lombroso. In L’ uomo delinquente (1876), Lombroso elabora la sua teoria criminale scrivendo che l’ uso del tatuaggio fra gli uomini non delinquenti tende a diminuire. L’usanza continua e prende proporzioni considerevoli nella popolazione “criminale”, militare e civile. Nell’Ottocento, scrive Leschiutta, il tatuaggio “turba, incuriosisce, infastidisce, pone problemi sulla liceità di un uso del corpo irrispettoso della sua sacralità”, sebbene fosse diffuso, soprattutto in Inghilterra, tra gli esponenti dell’aristocrazia.

Il XIX secolo si conclude, specialmente in Europa ed in Italia, con l’inizio dei pregiudizi verso i tatuaggi e le persone tatuate. Spesso chi negli anni precedenti alla fine del secolo si fosse tatuato, il segno sulla sua pelle ora era sinonimo di criminale, ladro, nullafacente. Si deve però anche a Lombroso la raccolta nei suoi libri e nelle sue tavole di una tradizione del tatuaggio che altrimenti sarebbe stata perduta. Una nota del medico del 1874 afferma che “nulla è più naturale che un’usanza tanto diffusa tra i selvaggi e fra i popoli preistorici torni a ripullulare in mezzo a quelle classi umane che, come i bassi fondi marini, mantengono la stessa temperatura, ripetono le usanze, le superstizioni”.

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